Perquisizioni al confine, Otavalo in Ecuador, riassuntino sulla Colombia e saggi consigli . . .

Salve amici! Dopo 3 mesi di viaggio eccomi giunto in Ecuador, paese di cui, al momento, conosco solo il fatto che ci passa appunto sopra l’equatore e che ha dato i natali all’arbitro di Corea del Sud-Italia 2-1: Byron Moreno.
Ma lo scopriremo assieme.

Da San Agustin sono giunto a Mocoa e da lì ho preso la strada per Pasto che mi è sembrata tanto spettacolare quanto pericolosa. Pareti di roccia fittissime di vegetazione, alte centinaia di metri, scendevano a strapiombo fino al fiume, che correva stretto stretto sotto. Tante cascate, con l’acqua che passava a volte sopra la strada in sterrato, a tratti franata e con segni di smottamento e caduta massi. Era strettissima, il pullman ci passava giusto giusto con le ruote che sfioravano lo strapiombo, tanto che anche affacciandomi dal finestrino spesso non riuscivo a vedere la strada sotto, solo il precipizio.
Quando il pullman incrociava un altro veicolo iniziavano complicate manovre, di solito in retromarcia, per passare entrambi.
La vista da lassù però era straordinaria, finché si è fatto scuro e la penombra ha reso il tutto ancor più inquietante. Poco dopo ha iniziato a piovere e la strada è diventata di fanghiglia e la visibilità quasi nulla. Infine ciliegina sulla torta: solo allora mi sono ricordato che in quelle zone al confine con l’Ecuador non bisogna mai viaggiare di notte perché c’è il rischio di venire assaliti da banditi armati, come è capitato qualche anno fa ad un ragazzo italiano che ho conosciuto a Santa Marta, Oscar.

Comunque tutto a posto, e dopo una giorno a Pasto (notate la rima), sono giunto al confine.
Mi avevano già timbrato il passaporto per l’uscita dalla Colombia e stavo andando a piedi verso l’Ecuador quando un poliziotto colombiano dell’antinarcotici mi ha chiamato per perquisirmi.
Stavolta mi hanno controllato anche le due tasche principali dello zaino fotografico, quelle che, scherzando, vi avevo detto contenevano 3 chili di cocaina. In realtà però contengono qualcosa di forse ancor più prezioso: le mutandine rosse di Joyce. Non tanto per Joyce, una ragazza brasiliana con cui sono stato oltre 10 anni fa, ma perché fin da subito mi sono accorto che portano fortuna e allora le ho sempre vicino a me.
Ora, in tanti controlli un po’ ovunque nel mondo, quando le hanno trovate sono sempre stati professionali, ma in Colombia che professionalità volete che ci sia, e da parte della polizia poi, figuriamoci, e così quando le ha viste ha iniziato a ridere grassamente “Ah ah ah, ah ah ah, non pensavo… non mi sembravi… ah ah”. No, ma che hai capito, quelle sono di una ragazza brasiliana… che tu ti sogni la notte fra l’altro, magari nei tuoi pipponi solitari, volevo anche aggiungere ma non l’ho fatto perché alla fin fine sono sempre attento a non dire cose che potrebbero far male.
“Mmm… verdad?? Verdad??” E certo che è la verità! Ma vogliamo cercare la droga o discutere di souvenir? Se poi la smetti di allargarle con le tue mani grette per osservarle da tutte le angolazioni mi fai un favore.
Ma adda turnà zio Pablo, io lo dico sempre. Comunque, finita la perquisizione sono entrato in Ecuador.
Dal confine ho preso un pullman, direzione Otavalo. Un 10 minuti dopo: stooop. Sono saliti i poliziotti, hanno controllato i documenti a tutti, e a me e altre 3 o 4 persone ci hanno fatto scendere per perquisirci.
Anche questa volta si sono accaniti soprattutto sul mio zaino fotografico e soprattutto sulla stessa parte, quella posteriore, dove si infila il computer.
Quindi un consiglio per aspiranti trafficanti: non mettetela mai lì! E se l’altra volta mi hanno tirato le rivestiture interne, strappandomele, questa volta addirittura il poliziotto me l’ha bucacchiato dall’interno con un coltellino e a me che protestavo diceva non ti preoccupare, non si rompe, non si rompe… e intanto lo infilzava col coltellino. Boh, forse “rompe” ha un altro significato in spagnolo.
Intanto tirava Zeus, il cane poliziotto, per fargli annusare questi buchini. Ma Zeus non mostrava alcun interesse, annusava come un pazzo tutto e il contrario di tutto tranne il mio zaino e nonostante il poliziotto gli spingesse con forza la testa dentro, non c’era verso, nulla che gli attirasse l’annusata, nemmeno le mutandine di Joyce, finché un ragazzo, un po’ strano, anche lui in fila per la perquisizione, gli ha donato una specie di budino su cui Zeus si è fiondato per divorarlo fra le grida disperate del poliziotto “noooo che hai fatto?? Ora non annuserà più nulla!!”. E fra le risate generali, anche questa perquisizione è finita.

Sono risalito sul pullman e siamo ripartiti. Un’oretta dopo stoooop. Di nuovo è salita la polizia, di nuovo controllo dei documenti a tutti e questa volta ho avuto l’onore di essere l’unico a dover scendere per la perquisizione. Lunghissima, tutte e due gli zaini e a nulla servivano le proteste del conducente che gli diceva ma l’hanno già controllato! “Non si immischi, lasci fare a noi…”.
Insomma con ben 4 perquisizioni, vi consiglio di non girare con droga nel raggio di 200 km fra la frontiera della Colombia e dell’Ecuador. E se proprio dovete, ricordatevi almeno di portare sempre con voi un budino da donare al cane. ;-)

 

Scultura di San Agustin: un uccello con in bocca un serpente.

 

Di questa statua è stato detto che rappresenta il “doppio sé”. Il guerriero con sopra lo spirito dell’animale che lo guida.

 

Muuuuuuuuuuuuuu.

 

Strada a San Agustin. Se vi capita di andarci, non perdetevi il ristorante italiano di Ugo, un ragazzo di Verona. No, non fate quella faccia, ha completamente rinnegato le sue origini (a parte l’Hellas) e ha detto di sentirsi più meridionale dei meridionali.
Oltre ad aver finalmente mangiato benissimo, la prima sera mi ha offerto tanto vino e rum, la seconda pure e la terza l’intera cena, gentilissimo, fossero tutti così i ristoratori, mannaggia.
Per raggiungerlo chiedete ad Anibal, una guida (se non lo trovate voi, vi troverà lui). Sarà contento di portarvi con la sua moto senza fari, nel buio più totale e quando glielo fate notare, nessun problema: accenderà il display del cellulare per usarlo come faro. E in effetti in quel contesto vi sembrerà tutta la luce del mondo.

 

Canne da zucchero vengono triturate per estrarne il succo.

 

La preparazione dello zucchero.

 

Alla fine escono fuori come dei caramelloni giganti, la panella.

 

Scritte sul muro del consiglio municipale di Pasto. Evidentemente anche in Colombia i politici non hanno una reputazione cristallina!

 

Ed eccoci in… Ecuador, al famoso mercato di Otavalo.

 

Una signora tesse al mercato.

 

Otavalo si trova a 2500 metri ed è circondata da tre vulcani, fra cui il Cotacachi, alto 5000 metri. Ancor oggi è abitato in gran parte da popolazioni indigene, che giunsero qui in tempi antichissimi e formarono una sorta di confederazione con altre avanzate comunità intorno. Furono soggiogate, già prima dell’arrivo degli spagnoli, degli Incas, dopo decenni di guerra che portarono al massacro di gran parte della popolazione.

 

Bambini.

 

Non più sangue per il petrolio.

 

I want you, dekaro, for the revolution!

 

Collegiali.

 

Signore.

 

Signore con giornale. Mi chiedevo: ma l’avranno trovato il borsone che ho lasciato cadere dal finestrino del pullman quando è salita la polizia?

 

Alla stazione dei pullman.

 

Bimba.

 

Composizione astratta con capra quasi al centro.

 

Bancarella di frutta.

 

Signora con sfondo colorato.

 

Mamma e figlia.

 

Una delle poche famiglie al mondo che fa ancora la lana a mano, senza macchinari. Ho comprato un cappellino da loro, 2 dollari.

 

Infine, qualche pensierino finale sulla Colombia, velocemente, perché ho già scritto molto.
Anzitutto, se volete andarci non abbiate paura perché non è pericolosa, certamente meno di famose mete turistiche confinanti come il Brasile e il Venezuela. Le probabilità di essere sequestrati dai guerriglieri sono al momento quasi nulle.
Detto questo però si respira ancora molta violenza, nelle notizie che si leggono sui giornali, si vedono in tv o si sentono dalla gente. Crimini comuni o legati alla lotta armata, come ad esempio di 40 guerriglieri uccisi tutti assieme in un agguato dell’esercito, fra cui donne e bambini.
E’ come se la violenza continua per inerzia, quella soprattutto delle forze paramilitari, oggi (in teoria) sciolte ma che fino a pochi anni fa hanno avuto il via libera a compiere impuniti le peggiori nefandezze.
La Colombia infatti è stata per decenni la nazione con il peggior record di abusi sui diritti umani, con oltre cento sindacalisti o attivisti uccisi ogni anno, spesso dopo essere stati torturati.
Naturalmente, essendo vittime di truppe paramilitari finanziate se non addirittura addestrate dagli Stati Uniti, non hanno nemmeno il diritto di essere menzionate dai nostri media. Non si tratta insomma del dissidente iraniano o magari cubano in carcere (in quest’ultimo caso poi, quasi sempre scava scava si scopre trattarsi di un criminale comune). Si tratta invece di dissidenti contro il capitalismo americano e quindi dopo essere stati eliminati devono essere ignorati o subito dimenticati. E pur volendo sarebbe praticamente impossibile ricordarli perché sono appunto migliaia.

La Colombia è al momento con il suo governo di destra l’unica significativa eccezione nel sud America e se una decina di anni fa, con una forte guerriglia in piena crisi politica ed economica, sembrava poter divenire la prima nazione sudamericana a liberarsi dal giogo degli Stati Uniti, oggi è invece l’unica che non è riuscita a farlo.
Guardando la storia recente della Colombia ho trovato tanti paralleli con la storia e l’attualità italiana, di cui questa sorta di sottomissione agli USA ne è solo uno.
Ad esempio la guerra civile del ’48 (La Violencia) che ha lasciato una frattura tuttora viva e che ricorda la nostra di qualche anno prima.
I due partiti principali colombiani che negli anni ’50, essendo entrambi in forte crisi, prima appoggiarono una dittatura militare e poi si misero d’accordo per spartirsi il potere solo per interessi personali e dei loro ricchi padroni, tradendo e ingannando completamente l’elettorato e provocando così la nascita del terrorismo. Tutto ciò riflette molto la situazione che abbiamo oggi in Italia.
Un altro parallelo è la lotta armata in Italia, la più grande e duratura d’Europa, così come quella colombiana lo è (tuttora) in Sud America.
La criminalità organizzata, fortissima e ricchissima in entrambi i paesi e con palesi diramazioni in politica.
Un altro esempio: l’omicidio di un famoso politico colombiano, Luis Carlos Galan, che da sempre era stato attribuito al cartello di Medellin. Oggi si sa che benché il cartello di Medellin avesse tentato più volte di ucciderlo, l’attentato è stato alla fine compiuto dai DAS, i servizi segreti colombiani. Fa venire in mente anzitutto l’omicidio di Borsellino, e ovviamente le tante stragi di stato dove i nostri servizi segreti se non ne sono stati direttamente gli autori, hanno di sicuro contribuito a depistare le indagini.

Comunque sia, da pochi anni, pare che il lungo conflitto armato stia per finire. La guerriglia che, fra sequestri di persona per ottenere il riscatto, narcotraffico, mine antiuomo che hanno ucciso e mutilato soprattutto civili, attacchi indiscriminati sulla popolazione ecc… hanno da anni perso, a ragione, l’appoggio e la simpatia del popolo e degli attivisti in patria e all’estero, oggi appare praticamente sconfitta.
Ora bisognerà vedere se ci sarà una sorta di riappacificazione, invece della solita giustizia a senso unico, esemplare e altisonante sugli sconfitti e che lascia invece impuniti i crimini, ben più cruenti, dei militari e paramilitari.
Un discorso a parte meriterebbero le comunità indigene, cacciate a migliaia dalle proprie terre o, quando si oppongono, tranquillamente massacrate. Ma questa è in realtà un’infamia che riguarda, da sempre, quasi tutta l’America e non solo la Colombia.

Infine, fra guerriglieri, paramilitari, cartelli della droga, comunità indigene, attivisti eroi, politici venduti e militari corrotti, c’è il grosso della popolazione, anche qui molto simile agli italiani: brava gente, molto religiosa, che in fondo vorrebbe solo vivere in pace tranquillamente, ma forse proprio questo non ha la grinta per reagire ai tanti continui soprusi che subisce.
E per il futuro? Fra i guerriglieri che, nonostante deliranti slogan trionfanti, sembrano ormai sconfitti e gli attivisti che, seguendo vie rigorosamente legali e “democratiche” rimangono impantanati in furbesche pastoie burocratiche prima venire ammazzati uno dopo l’altro, ci sono i giovani che hanno fatto a Bogotà, giusto qualche giorno dopo che me ne sono andato, una manifestazione molto grintosa, di azione diretta, con qualche episodio di vandalismo.
Come da noi i media hanno saputo solo sbraitare alla violenza, e, come da noi, la polizia ha invitato a mandare filmati e a denunciare. Speriamo però che, a differenza nostra, la gente comune li appoggi, cerchi di capirne le ragioni e almeno in questo caso non faccia come quella gran massa di pecoroni italiani che pare sappia solo piagnucolare e lamentarsi, per poi però inevitabilmente, quando c’è qualche squillo di rivolta, elogiare la polizia che manganella chi si ribella. E, chiamati all’appello, andare a capo chino a mettere una croce su PDL o PD.

 

Rispondo al commento anonimo:
Anonymus, sì, ma speriamo che ci salvi almeno per la volata finale di campionato. Per la verità avevo deciso di non seguire più il calcio ma l’idiozia dei commenti juventini su facebook mi sta facendo ritornare sui miei passi.

Il premio miglior commento va a… Anonymous. Però la prossima volta metti un nome, anche finto, perché vi annuncio una novità: Tutti i vincitori del premio miglior commento avranno un piccolo regalino quando torno! Ovviamente se raggiungibili e ovviamente si tratterà solo di un piccolo pensierino.

Bacioni xxx :-)