Salve carissimi lettori del cacchio! (dico così giusto per scuotervi un pochino, vi trovo un po’ mosci ultimamente…). Mi trovo nella splendida Cartagena, di cui però vi racconterò la prossima volta. Prima infatti metto le foto dei posti dove sono stato nel frattempo, in particolare Cabo de la Vela, praticamente nella punta più a nord della Colombia, nella penisola di Guajira, al confine col Venezuela. Per arrivarci da Santa Marta ho dovuto fare diversi cambi fra pullman, taxi, moto-taxi, e infine un paio d’ore dietro un furgoncino per l’ultimo tratto da Uribia, attraversando una zona desertica con piccoli accampamenti di case di terra e capanne.
C’è un mare limpidissimo e, salendo a fatica su brulle colline intorno, una piacevole vista sulla costa, ma il villaggio è un po’ assurdo: un’unica strada arida e polverosa dove non c’è praticamente nulla da fare. Qualche passeggiata sulla silenziosa riva, un po’ di meditazione forzata dall’amaca con vista mare e appena ho raggiunto l’illuminazione me ne sono tornato a Santa Marta.
Bambina kogui. Seguono altre foto del trekking verso la città perduta.
E una foto la merita sicuramente la nostra cara mula che l’ultimo giorno, siccome eravamo stanchi, abbiamo affittato per farci portare le borse. Fra l’altro nelle salite più impegnative portava pure una ragazza che non si sentiva tanto bene.
Ragazzi fanno skating a Santa Marta, dove sono andato e tornato fra le varie escursioni dei giorni scorsi. Ed è stato sempre piacevole starci, costa poco, è facile da girare a piedi e ha un bel sole caldo al punto giusto.
Bancarella di frullati di frutta a Santa Marta.
Furgoncino coloratissimo. Qui è a Taganga, a 15 minuti di autobus da Santa Marta, dove ci sono due spiagge modeste. A occhio e croce (ci sono stato solo un giorno) mi ha dato l’impressione di essere il classico posto divenuto un po’ casualmente un punto d’incontro per backpacker che vogliono drogarsi e far festa per tutta la notte. Questi giovani d’oggi… ma ai miei tempi…
Negozio a Uribia, da dove ho preso il furgoncino per raggiungere Cabo de la Vela.
Sul furgoncino ho conosciuto David, dell’Amazzonia colombiana. Appena mi ha visto con la macchina fotografica ha fatto no no niente foto, niente foto! E ok, chi te le fa. Poi ha detto mmm però una foto sì, fammene una. Subito dopo me ne ha chiesta un’altra, poi un’altra, stava per finirmi la scheda, non la smetteva più di chiedermene!
L’ho rincontrato casualmente ieri qui a Cartagena. Per la cronaca mi è capitato di incontrare qui anche una coppia (un polacco e una cilena) del gruppo del trekking per la ciudad perdida, e persino due ragazze austriache conosciute quando sono sceso dalla nave a Santarem in Brasile! Ce ne andammo assieme ad Alter do Chao. A Cabo de la Vela, invece, un ragazzo israeliano conosciuto nell’accampamento dopo la prima notte di trekking. Sempre con affianco una ragazza diversa, beato lui, se volete la prossima volta vi spiego la sua tecnica di abbordaggio infallibile, me la sono segnata.
Sempre nel furgoncino, nella zona desertica.
Ah, vedendo David, non pensiate che sia tipico della Colombia andare in giro con la faccia dipinta e i vestiti indiani. I colombiani lo guardavano più stupiti di me e mentre camminavamo assieme per Cabo de la Vela una camionetta della polizia l’ha fermato, un sacco di domande, ho quasi temuto che l’arrestavano.
Via via la gente scendeva in piccoli accampamenti nel deserto.
L’unica strada di Cabo de la Vela: una fila di capanne e casarelle che si affacciano sul mare e dove si può dormire su un’amaca. La mi amaca si intravede in quella casa un po’ più alta sullo sfondo.
Uno dei tanti ristorantini (per modo di dire) di Cabo de la Vela. Se vai a chiedergli cosa hanno da mangiare ti guardano come se chiedessi cose tipo “Devo cambiare l’olio alla macchina” o “Che film proiettate stasera?”. E quando gli dici che sei pure vegetariano, addio. Per fortuna in alcuni c’era riso in bianco con qualche verdura, scarseggia anche quella.
Evidentemente, anche nel campo della pesca i milanisti si distinguono per bravura. Poco distante invece c’erano pescatori con la maglia dell’Inter che non avevano preso niente! Che sfigati!!
E col Dio Sole che tramonta, vi lascio anch’io. Ma come lui… ritornerò.
Il premio “Miglior commento” va a zia Marina che distanzia di circa 654000 anni luce quello di Giovanni e con questo secondo titolo si porta all’inseguimento della capolista Lala, con tre.
Giovanni se vuoi leggere storie di sesso ci sono centinaia di migliaia di siti su internet, vai lì. Purtroppo per te (ma in fondo anche per me) Dekaro Diario tratta di altri argomenti. Poi io, figurati, mi sacrificherei pure per farti contento, ma è ormai evidente che sto attraversando un’altra lunga fase di dekarite(*) acuta.
(*) La dekarite è una rara malattia che porta una sorta di “scetticismo sessuale”. Chi ne è affetto inizia a chiedersi: ma è poi davvero così necessario, nonostante ciò che dicono amici, nemici, tv, film, canzoni, libri e in fondo anche le religioni con la loro ossessione al proibirlo… è davvero così necessario strofinare il proprio membro dentro il corpo di una donna? Per non parlare delle ridicole tarantelle che si devono fare per poter compiere questo insulso atto e le catastrofiche conseguenze che a volte seguono. A questo punto il paziente si trova privo della necessaria grinta per la conquista. Ne consegue inevitabilmente astinenza e apatia sessuale.