Ex Jugoslavia

Ciao a tutti! Stavolta vi racconto un brevissimo viaggio nell’ex Jugoslavia.

L’idea iniziale prevedeva anche l’Albania, dove sarei dovuto giungere via mare da Bari un venerdì 17. In effetti alcuni amici mi avevano fatto notare che non era certo il giorno più propizio per iniziare un viaggio, ma figuratevi, un uomo con una formazione di stampo illuminista razionalista non poteva che sorridere con un pizzico di superiorità di fronte a simili superstizioni. Aeeee… di tutto di più… anzitutto non sono partito quel giorno non avendo potuto raggiungere Bari da Malta, dove vivo da due anni e mezzo, perché quando già alcuni passeggeri erano saliti sull’aereo è stato annunciato uno sciopero dei controllori di volo in Italia. Vabè. Allora ho preso un volo per il giorno dopo per Dubrovnik, cambiando un pochino il piano iniziale. Niente più Tirana, e da Dubrovnik in Montenegro (anche se io preferisco chiamarlo Montedicolore) e poi verso la Bosnia.

Così il giorno dopo sono partito per Dubrovnik ma lo zaino non è arrivato. Mi hanno assicurato che sarebbe arrivato di sicuro la mattina seguente. Ma la mattina dopo non è arrivato. Era stato avvistato a Valencia. Dovevo aspettare ancora un altro giorno. Vabè, un giorno in più a Dubrovnik, nessun problema. Il giorno dopo il bagaglio si trovava a Vienna, pronto a imbarcarsi per il Vienna – Dubrovnik ed arrivare nel primo pomeriggio. In serata ancora nessuna notizia. Marko, il gestore dell’ostello di Dubrovnik, gentilissimo, che fin dall’inizio si era messo con grandissimo impegno nel rintracciarlo, dopo alcune telefonate l’ha ribeccato. Ora si trovava a Francoforte. Ma di sicuro, il giorno ancora dopo sarebbe arrivato…. a quel punto, quasi come una illuminazione ho finalmente realizzato che in fondo in fondo in quello zaino c’erano solo magliette sfigate, boxer e calzini e se anche ne compravo qualcun’altra nel frattempo non moriva nessuno. Così sono finalmente andato in Montenegro, ma sono dovuto ripassare in seguito di nuovo a Dubrovnik giusto per recuperare il mio zaino vagante, con cui mi sono finalmente ricongiunto dopo oltre 6 giorni. Ah… poi al volo di ritorno… non è arrivato! Smarrito di nuovo!!

Comunque vabe’, cose che possono capitare. Parliamo del viaggio.
Molto molto in breve, la Jugoslavia si forma dopo la prima guerra mondiale con l’adesione spontanea di Slovenia, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, che si trovavano dapprima sotto il dominio dell’impero Austro-Ungarico, al regno di Serbia. Poco dopo si aggiunge anche Montenegro. Dopo la seconda guerra mondiale il regno diventa una repubblica socialista guidata dal maresciallo Tito, che comunque mantiene sempre una forte indipendenza dalla sfera sovietica. Con la morte della figura carismatica di Tito, nel 1980, i problemi legati alle differenze fra le varie etnie iniziano ad inasprirsi e crescono sempre più i movimenti e i sentimenti nazionalisti. Infine, nel 1991 Slovenia, Croazia e Macedonia dichiarano l’indipendenza. Nel 1992 si dichiara indipendente la Bosnia ed Erzegovina e poco dopo Serbia e Montenegro si ribattezzano Repubblica Federale di Jugoslavia.
Però, siccome all’interno delle neo-formate nazioni ci sono etnie con interessi contrastanti, in particolare i musulmani bosniaci, gli ortodossi serbi e i cattolici croati, oltre ai contrasti fra macedoni e albanesi in Kosovo, già qualche mese dopo scoppia la guerra, con crimini atroci effettuati da tutte le parti a cui si è aggiunta anche la NATO con l’infame bombardamento sui civili di Belgrado del 1999. Un intervento che in seguito la Commissione di inchiesta internazionale ha sancito come “illegale ma legittimo”, nel tipico linguaggio schizofrenico e orwelliano del potere occidentale.

 

La bellissima Dubrovnik, in Croazia. Chiamata anche Ragusa, fu per molti anni della sua storia una repubblica marinara indipendente.

 

Il porto di notte.

 

La città vecchia è completamente circondata da mura su cui si può passeggiare.

 

Una piccola baia di notte.

 

La baia di Kotor in Montenegro. Anche chiamata “le bocche di Cattaro”, è paragonata ai fiordi norvegesi per le innumerevoli insenature avvolte dalle montagne.

 

Kotor, chiamata anche Cattaro, è un posto straordinario. E’ arroccata sotto una roccia a strapiombo e circondata da mura. Faceva parte della Repubblica di Venezia.

 

Chiesa a Kotor.

 

Stradina di Kotor.

 

Perasto, fu una fedelissima cittadina della Repubblica di Venezia.

 

Sempre nella baia di Kotor ci sono due chiese costruite su isolette artificiali.

 

Il ponte di Mostar, in Erzegovina. Capolavoro dell’architettura ottomana del XVI secolo, fu fatto saltare in aria dai croati durante la guerra. A differenza di quanto si disse, non era sulla linea del fronte e quindi non c’era nessuna necessità strategica nel farlo saltare. Ma rappresentava un simbolo della cultura nemica. E’ stato poi ricostruito identico, ma essendo una copia ha perso parte del suo fascino.

 

Mostar.

 

Un ragazzo pesca vicino un ponte di Sarajevo, Bosnia.

 

Sarajevo è chiamata la Gerusalemme d’Europa per via del fatto che nel suo centro si trovano una affianco all’altra moschee, chiese ortodosse, chiese cattoliche e una sinagoga. Anche nei momenti più difficili, come durante la seconda guerra mondiale o la recente guerra negli anni ’90, i cittadini di Sarajevo sono sempre rimasti solidali fra loro, indipendentemente dalla religione professata.

 

Ancora oggi su molti palazzi di Sarajevo ci sono le tracce delle schegge delle bombe lanciate dalle colline intorno durante l’assedio da parte dei serbi. All’inizio dell’assedio gli abitanti pensavano che sarebbe durato un paio di settimane. Durò quasi 4 anni, dall’aprile 1992 al febbraio del 1996. La popolazione rimase molto compatta e quasi nessuno abbandonò la città di propria iniziativa. Il cibo, alquanto scadente, era fornita dall’ONU che controllava l’aeroporto. Per l’acqua si utilizzò un ruscello sotterraneo che passa sotto la fabbrica di birra della città. Per il resto bisognò arrangiarsi in tutte le maniere, ma la vita comunque continuò e anche i pub e i teatri rimasero spesso aperti.

La fonte principale per queste informazioni è stata Neno, che durante il Free Sarajevo Walking Tour ci ha raccontato dei sui ricordi di bambino durante l’assedio.

 

In quell’angolo alla fine del ponte, sotto il palazzo rosa che è ora un museo, avvenne l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, che portò alla prima guerra mondiale. L’attentatore era un bosniaco, Gavrilo Princip, che si era unito ad un gruppo nazionalista serbo che puntava all’indipendenza della Bosnia dall’impero austro-ungarico e la sua annessione al regno di Serbia (quindi in un certo senso, anche se per vie traverse e imprevedibili, l’attentato ottenne il suo scopo). Per punire la Serbia, dove era stato pianificato l’attentato, l’Austria gli dichiarò guerra. La Serbia però era alleata della Russia, che entrò in guerra provocando a sua volta l’intervento della Germania… e così via… una quindicina di milioni di morti come se nulla fosse.

 

Per gli abitanti di Sarajevo è il più brutto palazzo della città. Fu costruito quando gli architetti comunisti pensarono di iniziare a dare un po’ di colore ai loro grigi edifici, senza però alterarne la struttura da casermoni.

 

A Belgrado, Serbia, dove ci hanno invece pensato i ragazzi ad abbellire i palazzi. La città è piena di bei murales.

Sul pulmino da Sarajevo a Belgrado ho conosciuto un ragazzo italiano, Vieri (è il suo nome, non il cognome) che è in viaggio fino alla Thailandia facendo molti tratti con la sua bicicletta pieghevole! Potete seguirlo qui: https://www.facebook.com/BiCicladi/

 

Nel museo Tesla, il genio serbo le cui scoperte nel campo dell’elettromagnetismo hanno avuto un’influenza straordinaria che continua ancor oggi.
Questa è la barchetta radiocomandata. L’esperimento fu eseguito negli Stati Uniti nel 1898 e la gente non vi credette. Per alcuni si trattava di una sorta di trucco da baraccone, per altri, all’incontrario, era Tesla che aveva come dei poteri telepatici capaci di muovere la barca. Insomma tutto tranne che da quello strano congegno su cui armeggiava Tesla partissero dei raggi invisibili che venivano letti dalla barchetta sul lago.

 

La prima maglietta comprata a causa dello zaino perso porta il motto di Dubrovnik, in cui anche io mi riconosco: “Non bene pro toto libertas venditur auro”, la libertà non si vende per tutto l’oro del mondo.

 

E infine, un piccolo consiglio: checché ne dica il vostro scienziato di fiducia, non iniziate mai un viaggio di venerdì 17!

Birmania (Myanmar)

Salve amici! Rieccomi. Questa volta vi racconto un breve viaggio in Birmania (dal 1989 ribattezzata Myanmar).

La Birmania è un posto straordinario, con un’atmosfera magica, dovuta sia alle onnipresenti pagode buddiste, sia alla sensazione di essere davvero altrove, come fuori dal nostro tempo. Infatti, il forte isolamento dal resto del mondo dovuto alla brutale dittatura militare, ha in compenso permesso alla Birmania di conservare culture, tradizioni e modi di vivere che quasi sicuramente spariranno per sempre nei prossimi anni con l’arrivo del “progresso”.

Per il momento però accogliamo con gioia la notizia che proprio ieri, dopo oltre 50 anni, è stato eletto il primo presidente non legato alla giunta militare. E’ Htin Kyaw, un fedelissimo di Aung San Suu Kyi, l’energica donna premio Nobel per la pace e simbolo della lotta contro la dittatura, che sarà invece ministro degli Esteri, non potendo divenire presidente per via del fatto che un articolo della costituzione, probabilmente creato apposta contro di lei, non permette la presidenza a chi ha in famiglia persone di nazionalità diversa (i suoi figli hanno la nazionalità britannica).

 

La pagoda Shwedagon a Yangon, uno dei templi più spettacolari al mondo. La gigantesca pagoda centrale è a sua volta circondata da una miriade di piccole e grandi pagode, templetti, immagini di Buddha, demoni e draghi, in cui ci si perde come in un mistico viaggio onirico.

 

Nel corso dei secoli la pagoda è stata via via rivestita con sempre più oro. Al momento è ricoperta da circa 60 tonnellate d’oro. Nella parte superiore sono anche incastonati gioielli e diamanti.

 

Monaci buddisti e fedeli pregano.

 

Il buddismo è parte integrante della Birmania e in linea di massima l’arte birmana è arte buddista. I monaci hanno sempre avuto una parte attiva nelle lotte politiche, opponendosi ad esempio alla colonizzazione britannica ed alla dittatura militare.

 

Durante il giorno si vedono spesso bambini portati in spalla e seguiti da un gran numero di parenti, in una cerimonia probabilmente simile alla nostra prima comunione.

 

Giovani buddisti pregano.

 

Strada a Yangon, ex Rangoon ed ex capitale. Come già per il nome della nazione, per dare un taglio simbolico al passato coloniale, la giunta militare ha cambiato molti nomi di città, reintroducendo spesso il nome originario a quello dato dall’amministrazione britannica.

 

Venditori di carbone.

 

Fioraio.

 

Piccoli buddisti passano davanti a carretti di street food.

 

La spettacolare Bagan, dove si può gironzolare in mezzo a circa 2000 templi, costruiti soprattutto fra il 1000 e il 1200, quando era la capitale del regno di Pagan. Sono sopravvissuti fino ad oggi fra devastazioni, terremoti ed erosioni, mentre invece sono completamente spariti gli altri edifici della città, perché erano in legno.

 

Tutti i templi hanno all’interno una o più statue di Buddha.

 

Bambina.

 

Uno dei villaggi sul lago Inle.

 

Donne fanno il bucato e si lavano in uno degli affluenti del lago Inle.

 

Con una tecnica unica al mondo, i pescatori del lago Inle riescono a restare in equilibrio sulla barca con una gamba mentre remano con l’altra gamba e intanto usano le braccia per pescare.

 

Silhouette di pescatori.

 

Per spostarsi si utilizzano lunghe barche nere.

 

Persone su una barca.

 

Ogni giorno della settimana, a turno, uno dei villaggi intorno al lago ospita il mercato. In quel giorno confluiscono centinaia di barche.

 

Lavoratori.

 

I villaggi sono composti da palafitte.

 

Palafitta blu.

 

Aratro trainato da bufali.

 

La tipica “donna giraffa” birmana. Fra l’altro ho preso in mano gli anelli che si mettono al collo e sono pesantissimi! E li mettono anche ai polsi e alle caviglie, quindi un ornamento molto disagevole, sarà quasi come camminare sui tacchi a spillo.
In realtà in questo caso siamo già di fronte a una sorta di trasformazione di un’antica cultura nel suo simulacro. Infatti queste donne fanno parte dell’etnia Kayan, che occupa una zona ad est al confine con la Thailandia. Ma in questi anni alcune di loro si stanno spostando nelle zone più turistiche per vendere souvenir.

 

Infine, sono andato al mare a Ngpali (probabilmente il nome viene da una storpiatura del nome Napoli!) dove c’è una lunga spiaggia con bungalow. Al momento è ancora un posto abbastanza selvaggio, dove gli edifici devono essere per legge più bassi delle palme.
Nella foto, uno dei villaggi di pescatori vicino alla spiaggia di Ngpali.
In queste zone occidentali verso il confine con il Bangladesh negli ultimi anni ci sono state tensioni fra buddisti e musulmani, e paradossalmente gli attacchi più cruenti sono stati effettuati proprio dai buddisti.
La Birmania prende il nome dal suo gruppo etnico dominate, ma in realtà è composta da oltre 100 razze ed etnie, con sempre presenti rivendicazioni autonomiste e tensioni fra i diversi gruppi.

 

Pescatori effettuano la manutenzione di una barca (o sono dei piromani, non lo so).

 

Nei prossimi giorni metterò una selezione più ampia di foto e con risoluzione migliore sulla mia pagina di foto (www.dekaro.it/foto.html) quindi semmai dateci un’occhiata fra qualche giorno. Nel frattempo però (piccolo spazio pubblicità) non perdetevi il mio ultimo racconto:



Anche su Amazon, iTunes ecc… davvero imperdibile! :-)

Alla prossima!